Il canto della sapienza: per una lettura di “Paradigmi della complessità” di Silvia Elena Di Donato

            “Da un certo punto in là non vi è più ritorno. Questo è il punto da raggiungere.” Con parole di Kafka, poste in esergo nell’ambito della nuova silloge di Silvia Elena Di Donato “Paradigmi della complessità” (Di Felice Edizioni, Martinsicuro, 2024), inizia la “scommessa totale” che l’Autrice mostra poesia dopo poesia. Tale scommessa è permeata da “[…] un’ansia, inesausta, di ricerca e di sapere […]”, come scrive il Professor Vincenzo Guarracino nella raffinata Prefazione al volume dell’affabile e colta docente di Lettere Classiche di origine pescarese. Ma di quale scommessa si tratta e, soprattutto, su cosa scommette l’Autrice? Conscia di essere “[…] dono insufficiente / al tempo appeso / sui labirinti dell’ora irrisolto[1], con una luziana capacità di innalzare il verso ad altezze considerevoli, l’Autrice scommette su una lente[2], probabilmente da identificarsi con la parola poetica, in grado di superare il  ristretto cabotaggio dell’io e proiettare la poetessa in una dimensione corale[3] corroborata da un impasto linguistico animato da classica eleganza e, nello stesso tempo, dal nitore di chi è abituato a un duro lavoro di distillazione.

            Compagna di viaggio dei poeti – cercatori delle orme[4] lasciate da chi ci ha preceduto sulla strada del tentativo di disvelare la Parola che da sempre sostanzia di sé la ricerca letteraria, Silvia Elena Di Donato individua nell’amore una delle chiavi di volta del sistema della realtà. Anche se l’amore mancato può temporaneamente destabilizzare[5] l’emotività dell’io poetante, il lettore di “Paradigmi della complessità” è guidato dall’Autrice alla progressiva presa di coscienza che le poesie più belle si scrivono, come sosteneva Alda Merini, “con i ginocchi piagati e le menti aguzzate dal mistero”: infatti, specialmente nelle poesie d’amore, l’Autrice raggiunge vette di originalità e grazia sulle quali risplende una facies linguistica classicamente raffinata che non imbriglia il sentimento d’amore confinandolo nella freddezza postmoderna cara a tanta poesia contemporanea, ma lo arricchisce di sfumature vitali e convincenti nella loro suadente e accorata bellezza[6].

            Una menzione a parte merita la profonda riflessione filosofica che l’Autrice intesse e presenta al lettore con la naturalezza del migliore Wittgenstein. Più degli altri “numi tutelari” copiosamente presenti nella silloge, è questo filosofo a forgiare il sapiente stile di pensiero di Silvia Elena Di Donato caratterizzato, da una parte, da folgoranti intuizioni[7]e pacate “indicazioni di metodo” al lettore[8], dall’altra dalla triade “amore – sogno – infinito”. In particolare, la parola “infinito”[9] è scritta con la lettera minuscola in quanto, programmaticamente, l’Autrice non intende conferire a questo concetto una natura archetipica svincolandolo dalla realtà, ma una connotazione pratica ed essenziale[10], che ben si sposa con il realismo cristiano impreziosito dalla nuance postmoderna che eleva la caratura di molte pagine della raccolta, come se le poesie di “Paradigmi della complessità” fossero la manifestazione tangibile di una vittoriosa padronanza della lingua e del pensiero.

            Come si attua, nel fare poetico dell’Autrice, tale vittoriosa padronanza? A mio parere, proprio attraverso il canto, che non è disincarnato, non vive in un Empireo di puro pensiero, ma è l’elemento che rende speciali “[…] noi segmenti di un unico codice / non altrimenti vivi se non cifre / tradotte in pelle e in alfabeti e amori […][11]. Ma c’è di più. Nel progetto poetico dell’Autrice, gli uomini assumono il ruolo di “[…] perfetti paradigmi / della complessità[12] ricollegandosi all’etimologia del termine “paradigmi”, Silvia Elena Di Donato intende suggerire al lettore che l’uomo è non solo misura di tutte le cose ma anche, e soprattutto, “modello” rappresentante di una “complessità” che, in questo pregevole libro, emerge con le sue ombre e le sue luci, coinvolgendo il lettore in una riflessione affascinante e persuasiva, manifestazione tangibile di una delle ricerche poetiche più originali e complete di queste ultime stagioni letterarie.

                                                                                                                                  Marco Pavoni


[1] Vedi la poesia “A PIEDI NUDI”, pag. 13, vv. 4 – 6.

[2] “LA LENTE” è il titolo della poesia a pag. 30.

[3]Siamo quello che accadiamo / e quello che accadremo e già accademmo”, in “LA LENTE”, pag. 30, vv. 1 – 2.

[4] Vedi “CERCATORI DI ORME”, pag. 18.

[5] Vedi “QUELLA CHE OGGI SONO”, pag. 16.

[6] Vedi pag. 20, 23, 24, 27 e 47.

[7] Vedi pag. 51 v. 9 “[…] Non è altrove se non in noi l’eternità […]”.

[8] Vedi pag. 54 v. 10 “[…] è la vertigine che insegna la mitezza”.

[9] Vedi “VIVERE IL PRESENTE”, pag. 64.

[10] Vedi “L’INFINITO IN ATTI”, pag. 37.

[11] Vedi “IL CANTO DEL SAPIENTE”, pag. 69, vv. 2 – 4.

[12] Vedi “IL CANTO DEL SAPIENTE”, pag. 69, vv. 11 e 12.