Nietzsche era solito ripetere che i poeti non hanno pudore per le proprie esperienze in quanto, secondo lui, le sfruttano mettendole a disposizione dei lettori. Perché scrivere ancora poesie, dopo una simile presa di posizione? Perché in “Lampi, luci e demoni” (Edizioni La Gru, Padova 2024) Luca Di Giampietro considera le proprie esperienze con un tatto ed un’innocenza propri di un Autore che ha realmente più di qualcosa da dire e scrive con una disinvoltura ammirevole, figlia di un lungo periodo di “addestramento poetico”.
Di Giampietro, Autore nato a Pescara, ha già all’attivo due raccolte poetiche, “Il giardino dei sassi” e “Sequenze cromatiche”. Come nume tutelare della terza silloge, “Lampi, luci e demoni”, sceglie un “peso massimo” della lirica italiana, Giovanni Pascoli. In esergo riporta infatti la lirica “Il lampo”, uno dei vertici della visione poetica del geniale Romagnolo. Per capire perché Di Giampietro ha scelto questa poesia per far decantare il proprio distillato poetico, mi sembra utile citare gli ultimi due versi de “Il lampo”: “come un occhio, che, largo, esterrefatto, / s’aprì si chiuse, nella notte nera.”
C’è una notte nera, per Di Giampietro? Sì, ed è una notte nata dallo scontro tra l’Io dell’Autore e una realtà fondamentalmente deludente, che richiama “l’arido vero” di leopardiana memoria. Tuttavia, grazie alla scrittura poetica, la frattura si ricompone in un equilibrio provvisorio che si nutre di un elisir salvifico rappresentato dalla luce: ecco perché, nell’ambito della raccolta, troviamo titoli quali “Gocce di luce”, “Briciole di sole”, “Il perpetuo giorno”.
Nella scrittura dell’Autore coesistono moti ascensionali e catabasi nelle profondità della Terra: tali movimenti trovano come soluzione sintetica, che permette di affrontare il divenire, la volontà espressa nella lirica – manifesto “Vivere il momento”. Di Giampietro è inoltre consapevole del fatto che la parola poetica vera va usata con cautela, perizia e candore: ecco perché, nella poesia “Vergini pensieri”, immagina che “vergini pensieri / voleranno leggeri all’orizzonte”. Pregevoli sono, inoltre, le descrizioni creative della Natura che Di Giampietro dissemina nella raccolta, con una sensibilità neo – lirica e neo – romantica propria di chi vive lo stupore poetico e sente il dovere di prendere il lettore per mano, elevando l’anima dello sconosciuto estimatore alla presa di coscienza che la vita e l’Arte si nutrono dello stesso alimento: la realtà, che è fatta di lampi, luci e demoni. In qualità di autentico “archeologo dell’anima” alla de Chirico, Di Giampietro scandaglia, con precisione chirurgica, demoni quali la solitudine, l’assenza di una vagheggiata figura femminile in grado di rasserenare l’anima del poeta, il tempo che scorre inesorabilmente, il viaggiare tra le dimensioni sensibili dell’essere. Inoltre, la silloge è impreziosita da un “punto fermo” su cui Di Giampietro fonda il proprio spiccare il volo nei cieli dell’Arte: la famiglia, troppo spesso vituperata in tanta produzione poetica non solo italiana.
La voce di Di Giampietro è infine arricchita da un fertile confronto con la migliore letteratura italiana e straniera: ciò gli consente di avere una voce tradizionale, ma nello stesso tempo capace di narrare, con una propria originalità, le inquietudini che tutti noi ci troviamo ad affrontare ogni giorno, tra gli alti e i bassi del piccolo cabotaggio della quotidianità. È dunque una voce preziosa, quella del Nostro, che resterà nell’anima dei lettori, a patto che essi dismettano gli orpelli di quelle sovrastrutture filosofiche che, molto spesso, rendono asfittiche tante composizioni delle tribolate stagioni letterarie contemporanee.