Riflessioni dopo la lettura de L’Isola del Pellicano di Michel Cosem

Trad. ital. di Stefania Ruggieri e Mirta Basilisco

“Chi siete? Gridò il turco.
Vattene a casa! Siamo greci.” (p. 16)
“I giovani turchi si sollevarono sulla scogliera, minacciosi, alzando i pugni, urlando insulti che il vento copriva immediatamente. Avrebbero saputo respingere con lo sbarco? Niente era più incerto.” (p. 26)

Queste due frasi che si trovano nella prima parte del libro appaiono particolarmente significative.
Oggi nelle nostre coste ci sono alcuni, e per fortuna non tutti, che rivendicano la propria nazionalità, in base alla quale si sentono autorizzati a respingere chi sbarca sulle proprie Terre.
Eppure nel caso dell’Italia c’è sempre stato un rapporto stretto con tanti popoli del vicino Mediterraneo, a partire dalla costa dalmata e poi quella greca e del vicino Oriente. Nelle nostre Coste, anche in quelle abruzzesi, vivono per esempio comunità piccole di ortodossi, che durante le persecuzioni hanno trovato riparo nei nostri territori e poi vi si sono stabiliti e mescolati inevitabilmente e pacificamente, come è accaduto e raccontato nel libro “L’Isola del Pellicano” tra i greci e i turchi durante l’Impero Ottomano.
Vivo nella città di Chieti ormai da molti anni, prima per studio e poi per motivi di famiglia, ma provengo da un piccolo comune dell’entroterra di nome Casacanditella, ma conosciuto e chiamato dai vicini e dagli stessi paesani con il nome di “Schiavoni”. Quello che mi hanno raccontato gli anziani è che questa comunità sarebbe stata fondata da popoli in fuga dalla guerra, provenienti da territori slavi, da qui Slavi sono diventati Schiavi e poi infine Schiavoni. Non so quanto questo racconto possa avere la sua attendibilità storica, ma sappiamo che i racconti tramandati, le leggende, hanno sempre un loro fondamento.

Il messaggio del libro è che la forza che fa camminare il mondo è l’unione fra i popoli; quelli che se ne rendono conto per primi sono proprio i ragazzi. Essi, seppur figli intrisi di antiche narrazioni di odio, sanno compiere gesti controcorrente, sanno curare ferite, non si chiedono da dove provenga l’uomo che soffre e che si trova nel dolore, perché la sofferenza e il dolore sono umani e non hanno una nazionalità. Nel libro Elena simboleggia l’uomo che riconosce l’altro uomo e si china su di lui per soccorrerlo.
Un libro semplice e avventuroso, lineare ma ricco di piccoli colpi di scena, adatto ai piccoli della scuola primaria e della scuola media, ma ricco di spunti per tutti i lettori.
Da insegnante lo userei per più di un tema; in particolare per il fenomeno dell’immigrazione, per l’importanza di trovare un terreno comune, di cercare quello che ci unisce, più che quello che ci divide, di riscoprire il senso del dono, simboleggiato da quei regali che le bande dei ragazzi si fanno per superare le distanze, per abbattere le barriere della diffidenza.
Bello il tema del libro e bella l’idea dell’Autore a cui vanno le nostre felicitazioni, insieme al plauso per le traduttrici che hanno saputo veicolare in lingua italiana la storia.

Chieti, 6 aprile 2023
Angelo De Sanctis